LA POP ART: PARALLELISMO CON IL CYBERBULLISMO.



Potrà sembrare strano, ma in qualche modo il dibattito sul cyberbullismo può essere paragonato a ciò che gli artisti pop hanno cercato di fare con quella che viene definita pop-art. Nel 2018, anno di apertura di questo blog, mi ritrovo ad utilizzare un mezzo di comunicazione di massa per denunciare proprio un uso e consumo sconsiderato e pericoloso dello stesso, un po’ come gli artisti pop (dove pop sta per popolare) hanno fatto con le loro opere denunciando, prima di altri, il pericoloso potere dei mass-media.

La pop art si sviluppa negli Stati Uniti ed in Inghilterra negli anni 50, gli artisti principali sono Jasper Johns, Robert Rauschenberg e Claes Oldenburg, Andy Warhol. Le loro opere sono caratterizzate dagli oggetti di uso quotidiano che, per la prima volta, diventano protagonisti del soggetto pittorico. Tra questi, i più rappresentati sono: bottiglie di Coca-Cola, lattine di birra, cartelloni pubblicitari e oggetti consumati o in disuso. 

Questi oggetti vengono rappresentati con tecniche diverse e spesso su supporti, oppure vengono assemblati, manipolati, ingigantiti o immortalati sotto forma di sculture. L’oggetto di consumo diventa così protagonista dell’opera nonostante la sua banalità, e l’utilizzo dello stesso, nonostante la banalità, nasconde in realtà un significato di schermo verso la società dei consumi. 

Gli artisti, attraverso la pittura, cercano di rendere consapevole il pubblico sui rischi sociali determinati dal crescente peso esercitato dai mass media, dalla pubblicità, dalle prorompenti sollecitazioni visive e luminose. Le opere pop sono molto colorate, vivaci e “frizzanti” proprio come quelli delle pubblicità, dei supermercati e delle insegne luminose. Le opere appaiono quindi fredde, impersonali e distaccate.


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